Nel leggere il Vangelo, come accade nel caso di opere eterne, ci s’imbatte in passi che pur brevi aprono degli orizzonti insospettabili e universali; questo anche perché il linguaggio usato è molto evocativo e quindi dipende dallo stato d’animo di chi legge, nel momento in cui legge, così è successo per un passo nel brano “Gesù e la peccatrice” (tratto da Luca).
“..Perciò ti dico: i suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato. Colui invece al quale si perdona poco, ama poco….”
Devo dire che ho trovato l’intero brano di una bellezza struggente; la poesia del silenzio della donna talmente gravido d’amore da non poter esprimere con parole ma solo con gesti ciò che la peccatrice ha in cuore e che Gesù riconosce; però è il passo sopra scritto che mi ha veramente intrigato.
I due periodi da cui è composto il passo dicono cose diverse: nel primo sembra che i molti peccati commessi dalla donna le siano stati perdonati perché lei ha mostrato molto amore e quindi prova un grande pentimento, e questo è un qualcosa che rientra nel modo usuale di intendere; ma è il secondo periodo che per me è completamente nuovo nel significato, perché lega amore e perdono, dunque peccato e male, nella stessa logica, come se il peccare fosse un qualcosa d’inerente all’amare, due facce della stessa medaglia: la vita nell’amore ha in sé il compiere dei peccati e quindi porta alla necessità di essere perdonato, non si può vivere e amare senza peccare; non ci può essere bene senza male, ma è in noi la possibilità di capire la differenza.
Quello che per Gesù è importante, mi pare, è il cercare di vivere nell’amore e questo, perché siamo uomini, ha in sé il peccare con cui, però, attraverso la capacità di pentimento, che vuol dire, appunto, capire la differenza, possiamo convivere; in questo senso è meglio dover essere perdonati perché si vive amando, piuttosto che essere senza peccato ma non avere amore; la scelta tra le due possibilità è libera (i farisei scelsero la seconda, infatti).
Gesù indica con chiarezza che la strada giusta si può percorrere solamente inciampando, ruzzolando per terra, perdendosi per qualche tempo in qualche oscuro cespuglio e magari rischiando di cadere senza speranza in un burrone; però anche, e soprattutto, Egli dice che è più importante farsi del male camminando per la strada, piuttosto che restare fermi a guardare.
Lo dice con totale serenità e tranquillità in forza della sua fede nella nostra volontà di incamminarci lungo la via che ci ha indicato e della fiducia nella capacità, dataci da Lui, di rialzarci e cioè di renderci conto di qual è la cosa giusta, di discriminare: ci ha indicato la strada, ci ha dato i mezzi per percorrerla e ha fede, infinita fede, in noi ed è proprio questa che risuona e turba nel profondo per il mistero delle sue ragioni.