LA VITA

020comp“..A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio»..”

Quante cose, sensazioni, impulsi ci conserviamo dentro in modo quiescente! Scrivo questo perché mi capita spesso, come penso succeda a ognuno di noi, di sentir riaffiorare qualcosa, magari dopo anni di oblio, che improvvisamente reclama in modo imperativo una sua dignità; questo dipende, credo, molto dalla vita che si fa e dalla varietà e quantità degli stimoli che s’incontrano cui si reagisce.

In ogni caso questo mi è successo per il passo sopra riportato e più precisamente per la risposta di che Cristo dà all’uomo.

La questione della morte in generale e della morte delle persone care in particolare ha assunto importanza crescente per me da quando nel 1978 morì improvvisamente mio papà; forse anche perché la sua tomba è in un posto sperduto della Lucania rendendo per questo difficili e rare le mie visite ho sviluppato un rapporto quotidiano di preghiera, direi di dialogo, con lui e quando vado da mamma non manco di andare nell’ultimo posto in cui l’ho visto vivo, pochi minuti prima della sua inaspettata morte.

Poi nel corso dei miei studi ho imparato a capire e ad apprezzare, per molti aspetti, il rispetto che l’uomo per millenni ha avuto nei confronti dei morti; quasi l’intero nostro retaggio culturale che ha le radici in Omero, nei miti e nel teatro greco ha un nodo fondamentale nel rapporto con i cari che sono morti e nel mio lavoro di teatro, appunto, ho dovuto affrontare questo tema ricorrente sviluppandone le conseguenze in diverse opere utilizzando le usuali modalità di pensiero essendo ragionevolmente convinto, e convincendo altri, dei risultati.

Dunque la mia vita in alcuni suoi aspetti filava abbastanza liscia, diciamo, anche se ora, a posteriori, riconosco che avevo una sorta di non completo agio di fronte a questo teme della morte, come quando si sostiene un esame, si passa con un bel voto ma dentro si ha un’inequivocabile sensazione di non soddisfazione, d’incompletezza.

Per qualche motivo da qualche settimana mi è tornata in mente la risposta di Cristo ed essa continuava a risuonarmi non dandomi pace; poi qualche sera fa tornando dalle prove di teatro mi è apparsa, uso impropriamente questa parola, una risposta: per Lui i cari che noi abbiamo amato, se li abbiamo amati veramente, sono vivi e non morti; sono vivi in virtù di un amore che opera in modo vero dentro di noi creando un legame che trascende tempo, spazio, apparenza ed esistenza fisica.

Se l’uomo del passo del Vangelo pensava a suo padre come a un morto anch’egli sarebbe stato tale e dunque tra padre e figlio c’è un rapporto di vita e quindi di amore: Cristo ha indicato all’uomo, verosimilmente distrutto dal dispiacere, la via della vita nell’amore per suo padre dicendogli che questa non ha termine.

Anche in questo caso la risposta di Cristo è stata lapidaria, non consolatoria, del tutto scevra da spiegazioni e intrisa di necessità di fede; infatti, per come capisco io, occorre prima di tutto credere che possa esistere l’Amore ed è la fede in questa possibilità che apre il cuore all’attuazione: tutto nasce da un atto volontario, personale e certo molto difficile di fede.

Non so se possa esistere una difficoltà maggiore di quella del continuare ad amare una persona cara che è morta fino al punto di considerarla viva: è veramente una sfida formidabile alle nostre capacità, alle radici del nostro essere e all’essenza stessa della nostra umanità che lascia attoniti, ma nello stesso tempo è uno sprone luminosissimo alla speranza.

Questa risposta ha generato in me una serie di conseguenze, tuttora in corso che chissà dove porteranno, sia nel rapporto con mio padre (rendendolo più complesso), sia negli studi (costringendomi a rivedere, o forse a “vedere”, tutte le interpretazioni sviluppate in anni), sia negli affetti in generale.

Giovanni

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