“….Ma i farisei, udendo questo, presero a dire: “Costui scaccia i demòni in nome di Beelzebùl, principe dei demòni”.
Ma egli, conosciuto il loro pensiero, disse loro: “Ogni regno discorde cade in rovina e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. 26Ora, se satana scaccia satana, egli è discorde con se stesso; come potrà dunque reggersi il suo regno? E se io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl, i vostri figli in nome di chi li scacciano? Per questo loro stessi saranno i vostri giudici. Ma se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio…”
Questo estratto da Matteo è secondo me un esempio grande e bello di come Cristo possa essere nelle sue azioni e nei suoi detti parte di noi, nel senso che si percepisce in essi un qualcosa che è radicato nel profondo dell’essere e proprio per questo più che essere spiegato razionalmente deve essere “accolto”, ascoltato, abbassando le ingannatrici barriere dell’io (operazione non facile, anche data la società in cui viviamo); forse si può dire che Cristo può evidenziare e dare forma a quello che è nascosto in noi ed è per ciò che l’accogliere pienamente il Suo messaggio è tanto difficile: Egli mette in luce un problema lasciando a noi l’arbitrio, potendone avere i mezzi, se risolverlo o no.
Il caso in questione si riferisce a un episodio in cui Cristo rende la vista e la parola a un uomo liberandolo dal demonio ma l’aspetto importante, come al solito, è capire le dinamiche di questa liberazione perché è in esse che si nasconde, a mio avviso, il messaggio universale umano.
L’intero passo, naturalmente metaforico, è dominato dall’idea di contrapposizione e dunque di contrasto, che significa conflitto ed è da qui che occorre partire: capire quali sono i suoi termini per arrivare al significato dell’ultima e finale affermazione di Cristo, di fatto il superamento del conflitto.
E’ evidente la metafora del regno, questo come l’animo umano è composto di tante parti che interagiscono tra loro; infatti è esperienza di vita di ognuno di noi il soffrire quando non ci si sente a posto con se stessi, quando si compie un’azione di cui se ne percepisce la problematicità: è chiaro che questo “malessere” di cui si può essere vittime (che io ho provato e proverò ancora chissà quante volte, nonostante vari proponimenti) sia legato al conflitto tra una consapevolezza di ciò che deve essere e ciò che è, e sono convinto che si possa anche dire che sia la nostra coscienza ad andare in contrasto con ciò che è fatto.
Dico questo perché, a torto o a ragione, sono convinto che esista in noi, magari sepolta o ignorata da lunga abitudine, la consapevolezza di cosa sia giusto o sbagliato, di come debba essere compiuta un’azione perché sia percepita come “giusta”.
Dunque l’esperienza di vita mostra inequivocabilmente che può esistere un conflitto in noi e allora qual è la strada che Cristo mostra per risolvere quest’antinomia?
L’affermazione che un regno, come una città o famiglia non possa reggersi nella discordia racchiude in sé che non può esserci cambiamento e crescita se gli elementi discordi restano gli stessi; detto in altri termini: gli elementi che hanno creato discordia non possono essere gli stessi che si accordano a meno che non ci sia qualche agente esterno che promuove tale radicale cambiamento.
Uscendo dalle metafore questo significa una cosa molto importante dal punto di vista umano e cioè che è necessario uscire dalla autoreferenzialità, dall’egocentrismo e cioè, in ultima analisi, di non peccare di superbia.
Il porre il centro di sé al di fuori di sé; è questa la strada che ci indica Cristo: il superarsi, l’uscire da se stessi ponendo il centro nella stabilità di Cristo, porta a scacciare i demoni quindi a trovare la pace.
Non oso entrare in terreni impervi almeno per me, però certamente uno dei fattori che più il Dio del Vecchio Testamento ha colpito è legato all’abbandono, anche per un solo momento, delle Sue indicazioni e quindi di aver peccato di superbia; sono molti gli episodi che indicano questo.
La strada, per quel che capisco io, è chiara, ma il seguirla è assai complesso perché tutti viviamo e interagiamo nell’ambito di una società (basata su presupposti e paradigmi non solo diversi, ma in tali casi addirittura opposti a quanto dettato dai Vangeli) e per fare questo è necessario venire a patti con le sue dinamiche e dunque a trovare compromessi non sempre facili.
La società ai tempi di Gesù era certo molto diversa, offriva ovviamente meno possibilità ma era più semplice se non altro perché era molto più chiaro quali potessero essere priorità, difficoltà, amici e nemici.
Dico questo perché sono convinto che una delle difficoltà del messaggio di Cristo sia di calarlo nella contemporaneità del momento storico in cui si vive e dunque di evincere quello che è universale da quello che è dipendente dal tempo.
Giovanni