Il titolo è una definizione che San Paolo usa in una delle sue lettere (certamente non quella ai Romani, mi sembra che sia una di quelle scritte ai Corinzi) per definire un qualcosa che lo riportava continuamente sulla Terra impedendogli di insuperbirsi troppo ma non dice cosa essa fosse; per inconoscibili ragioni il quesito sulla natura di questa “spina nella carne” mi ha accompagnato, e intrigato, negli anni.
Ho letto le Lettere di San Paolo molti anni fa e ricordo un caso abbastanza curioso: ero in aereo e stavo appunto leggendo quella raccolta, mi accorsi che il mio vicino di sedile sbirciava il mio libro e mi chiese conferma che fossero proprio le Lettere: era un pastore protestante americano e dimostrò una certa conoscenza di esse; ho il ricordo di una persona estremamente cordiale e molto acuta.
Iniziammo a scambiarci delle opinioni e con mia sorpresa mi chiese come, secondo me, poteva interpretarsi ciò che il Santo definisce, appunto, spina nella carne perché per lui la questione era tutt’altro che chiara; risposi con una certa sicurezza che era la pulsione sessuale (ora sarei molto più cauto in simili giudizi). Questo accadeva oltre venticinque anni fa.
Il tempo e la vita vissuta modificano la percezione delle cose che restano impresse e spesso fanno riaffiorare quelle che sembrano dimenticate, e dunque recentemente mi è riapparsa quella definizione ma non perché abbia riletto il testo, per le insondabili associazioni e comunicazioni interiori tra corpo e spirito apparendomi sotto una nuova, certo meno semplicistica e più personale prospettiva.
La spina nella carne è il reclamo della parte terrena che è propria di ogni essere umano; penso che sia possibile librarsi verso l’alto, magari anche molto, ma non si può rimanere lì: si deve ricadere a terra, piombando nel materiale di cui siamo fatti.
Per me vivere la vita è una fatica costante tra anelito, desiderio, e cadute dalle quali mi devo ogni volta rialzare e spesso con parecchia fatica e questo succede proprio perché credo, altrimenti il problema non si porrebbe.
Non mi riferisco solo a pulsioni che annebbiano il cuore ma anche a malattie, scocciature, frustrazioni, situazioni anomale e quant’altro esiste e che costituisce l’universo entro cui viviamo, con il quale conviviamo intimamente, con cui è ineludibile fare i conti.
Però negli anni ho capito che questa spina nella carne non ha valenza negativa; è un qualcosa che mi appartiene, che è parte di me e che può addirittura essere utile a migliorarsi, o almeno a provare a farlo.
Vorrei concludere con due considerazioni
La prima è che la figura di Paolo mi appare come di un’umanità di grande bellezza e densità; la seconda riguarda Cristo e il Suo messaggio di fiducia nei nostri confronti: proprio perché l’uomo non può evitare di cadere egli ha necessità di percepire che c’è Qualcuno che crede nel suo rialzarsi, infatti da moltissimi episodi evangelici ho maturato la convinzione che Cristo ha più fiducia in me di quanta io ne abbia in me stesso.
Giovanni