Ci sono dei giorni in cui mi ritrovo in “posti” inaspettati, e mi perdo a contemplare panorami di grande bellezza; così è stato sabato.
Nel leggere una frase pronunciata da “Aiace”, nell’omonima tragedia di Sofocle, ho avuto un ricordo e dopo un bel po’ di richiami dalla memoria mi è venuto in mente che tale frase, il suo concetto, è contenuta in quello scrigno che è il libro di Qoelet (le Ecclesiaste), allora sono andato a vedere e poi sono rimasto a sfogliare senza una meta la Bibbia imbattendomi nel libro di Ruth.
E lì sono rimasto, perché mi ha conquistato.
La storia è nota: Ruth, dopo la morte del marito decide di rimanere con sua suocera Noemi e di ritornare con lei a Betlemme, da dove erano partiti per una carestia spostandosi a Moab; facendo così Ruth accetta per amore di andare tra gente straniera (lei era di Moab) abbracciando Dio (la sua tribù non adorava Dio); mantenendo la sua dignità e integrità con il lavoro e seguendo i consigli di Noemi, Ruth si sposa e genera Obed, il nonno di David e dunque dà origine alla genealogia di Gesù.
Ma cosa mi ha colpito tanto di questo breve libro? Il modo universale in cui opera Dio.
Non c’è alcuno sforzo da parte di Ruth nell’accettare un così radicale cambiamento in nome solo dell’amore e della famiglia, c’è solo una grande tranquillità; lei resta fedele a se stessa, mantenendo un’assoluta integrità morale, e Dio le riconosce questa bellezza interiore e la rende capostipite di Suo Figlio.
Tutto si svolge con un’apparente grande semplicità; non ci sono elucubrazioni, non ci sono strategie o parole con doppi significati: solo verità e amore.
Ciò che Dio ha guardato è esclusivamente quello che c’era nel cuore della Donna e null’altro, solo in virtù di questo ha accettato l’amore della Donna.
Ecco, questo concetto di semplicità interiore è molto potente perché penso che per averlo occorra un’onestà con se stessi così forte da trascendere usi, costumi, linguaggi e religioni: dono rarissimo, dire Divino nel senso più vero del termine.
Giovanni